Circa un mese fa, verso la fine di settembre, alla sala da tè Czajownia di Breslavia si è tenuto un incontro con il signor Takada di Uji, esperto di tè e produttore per la catena Dobrá čajovna di Praga.
Vorrei premettere fin da principio che i tè giapponesi sono quasi un’icona della sala da tè Czajownia, soprattutto in estate, quando il caldo afoso li rende forse il solo prodotto bevibile caldo. Il prezzo poi, sebbene alto per la Polonia, sembra essere decisamente onesto, considerando la qualità.
L’incontro è iniziato, come tradizione, con un lieve ritardo. Il sig. Takada ci ha accolto con sorpresa con un infuso di foglie di ciliegio, piuttosto che con un tè. Le foglie, ci ha spiegato, sono state raccolte da un amico di Uji, anch’esso coltivatore di tè per professione e coltivatore di ciliegi per passione. Il sig. Takada offre spesso questo infuso ad amici e clienti in visita per addolcire il palato e per preparare gli ospiti all’assaggio dei tè più pregiati.
Le foglie di ciliegio essiccate sono alla vista estremamente grandi e ne bastano davvero poche per riempire il hohin (piccola teiera senza manico tipica della cultura giapponese). Il sapore è molto aromatico, speziato, piacevole e dolce; ricorda vagamente l’aroma delle ciliegie con una punta di pepe bianco con un ché di frizzante. Devo ammettere che, una volta provate, ho subito pensato di comprarne un poco su internet. Purtroppo l’impresa sembra essere piuttosto ardua, poiché in genere il sakura tea viene prodotto solo dai fiori del ciliegio giapponese e non dalle foglie.Durante la prima fase della lezione, il sig. Takada ci ha mostrato il metodo antico di produzione del tè, oggi caduto in disuso a favore dei più veloci processi industriali. Fra i metodi antichi e quelli moderni in realtà ben poco è cambiato. Il tè, come accade ancora oggi, veniva raccolto dalle mani di anziane tea picker da anni ormai esperte nell’arte della raccolta. Malgrado l’età avanzata, queste signore sono in grado di raccogliere fino a 5 chili di foglie al giorno, dove i più giovani arrivano a un massimo di 3 chili. Per rendere il tutto più comprensibile, basti pensare che 5 chili di foglie fresche corrispondono a circa un chilo di prodotto finito.
Purtroppo le teapicker esperte, vista l’età, stanno diventando ormai sempre più rare e i loro servizi diventano sempre più cari. Una teapicker esperta viene in genere pagata al termine di ogni giorno di lavoro e riceve un compenso tra 5000 e 8000 Yen, giustificando in parte l’elevato costo del tè giapponese. Oltre a ciò, raccontava il sig. Takada, è usanza mandare regali ai teapicker la notte di capodanno e qualche settimana prima del raccolto assicurarsene i servigi nella nuova stagione di raccolta.
L’inizio della stagione di raccolta varia molto a seconda della latitudine, ma in genere nella zona di Kagoshima ha inizio già a metà aprile, mentre a Shizuoka verso la fine di aprile e a Uji a metà maggio. Dopo la fase di raccolta delle foglie fresche, queste vengono cotte al vapore per una durata variabile da 30 a 90 secondi a seconda del centro di produzione. A Uji il tè viene cotto al vapore per 30 secondi, a Kagoshima 60 secondi, mentre a Shizuoka fino a 90 secondi. Segue poi una fase di asciugatura, rullatura e lieve tostatura. Quando il tè è ormai asciutto, rullato e tostato, prende il nome di aracha.
L’aracha non è altro che il cosiddetto tè dei coltivatori, ovvero un tè che contiene detriti e polvere, e quindi non è adatto alla vendita, ma può essere usato per fini domestici. L’aracha in una prima fase viene fatto passare attraverso un setaccio a maglia fine, così da eliminare la polvere di tè, spesso copiosa. Successivamente l’aracha viene fatto passare attraverso un setaccio a maglia larga per eliminare i rametti più lunghi. Quello che rimane da questi due primi processi non è tuttavia ancora il prodotto finito. Il tè a questo punto viene lanciato in aria con un largo contenitore a forma di guanto da baseball: in questo modo le foglie più leggere finiscono per separarsi e cadere fuori. Eliminati i rametti, la polvere e le foglie più leggere, non rimane che togliere dal tè i rametti più sottili e i gambi del tè. Quest’ultimo processo di pulitura veniva in passato eseguito a mano, o meglio con le bacchette.
Dopo tutte queste fasi di grading l’aracha è ora diventato shincha, sencha, kabusecha o gyokuro (a seconda del periodo e della tipologia di raccolta)!
Avendo avuto l’occasione di assaggiare in prima persona l’aracha prima e dopo la tostatura, ho potuto finalmente fare un confronto fra prodotti semilavorati e prodotti finiti. Il sencha aracha, per esempio, prima della tostatura ricorda moltissimo il sapore di un kukicha molto verde(tè fatto con i gambi delle foglie), mentre dopo la tostatura assume il caratteristico aroma vegetale e fruttato. L’aracha sencha tostato tuttavia, a differenza del sencha, ha un sapore meno definito. Se consideriamo che una parte dei detriti del tè non ha sapore e occupa solo spazio nella teiera, d’altra parte la polvere infonde molto velocemente, rendendo il tè più forte e dal sapore meno delineato.
Durante la produzione del tè, come abbiamo potuto assistere, prevede molti scarti di produzione che vengono destinati a prodotti di tutt’altro tipo. Per esempio gli scarti del tè vengono molto utilizzati nell’industria cosmetica per creme e sali da bagno, proprio in virtù della natura acida della pianta che pare pulisca la pelle e la renda più lucida. In antichità invece era uso di usare il tè scartato per imbottire i cuscini!
Dopo aver assaggiato l’aracha verde e quello tostato, sono seguiti cupping più classici: yamacha, gyokuro, tamaryokucha. Quello che più mi ha sorpreso è stato il metodo di infusione. Lavorando in una sala da tè, data la grande varietà, si utilizzano in genere standard di infusione che però non rendono giustizia alle caratteristiche proprie di ciascun tè. Per esempio siamo stati abituati a infondere tutti i tè giapponesi con le seguenti proporzioni: 7-8 gr. in 200 ml a 70°C per 120 secondi. In realtà questo tipo di infusione è giusto per i soli sencha di qualità premium, mentre per un gyokuro potrebbe definirsi quasi uno spreco. Il sig. Takada offre in genere ai propri clienti il gyokuro con proporzioni di 10 gr. in 60 ml a 50°C per 120 secondi. Con questi parametri si ottiene un infuso concentrato, dolciastro e fortemente aromatico, senza note amare o astringenza; questo gyokuro non è bevuto, ma gustato in porzioni non superiori ai 20 ml, quasi un shot di tè!
Ad ogni passo del cupping ho scoperto quanto i tè giapponesi siano realmente diversi fra loro, grazie soprattutto a una più attenta infusione. Lo yamacha ricorda molto il sapore del pane, il tamaryokucha possiede invece una nota di tostato, mentre il gyokuro è cangiante, passa da un sapore fruttato e burroso della prima infusione a un sapore dolce e amarognolo tipico di certi matcha usucha dell’ultima (vedi usucha e koicha matcha).
Oltre al tè, tema portante dell’incontro, ci è stata offerta l’occasione di apprezzare anche altri tipi di prodotti, come i biscotti al matcha, un furikake (topping per riso) di tencha (ovvero le foglie di tè dalle quali ha origine il matcha, tè polverizzato) e anche una specie di ‘insalata’ di foglie di gyokuro esauste condite con salsa di soia. Per chi poi è stato fortunato, o meglio sfacciato, in serbo si è trovato anche una piccola manciata di riso tostato per genmaicha.
Al termine di questo lungo pomeriggio poi non sono certo mancate le domande, tutte molto interessanti, le quali sarebbe un peccato non riportare:
Quali sono le proporzioni di riso e tè nel genmaicha?
Dipende dal produttore, ma in generale circa 50-50.
Se il tè è arrivato in Giappone dalla Cina, perché i tè verdi giapponesi vengono non solo prodotti, ma anche serviti in tutt’altro modo?
La tradizione del tè in giappone è ormai più che millenaria. In principio il tè introdotto in Giappone dalla Cina era chiamato dancha, ovvero tè in forma di sfera (pressato). Il dancha tuttavia era un prodotto a cui aveva accesso solo l’alta nobiltà e il clero che lo preparava (forse anche produceva?). Fu il monaco Eisai nel XII secolo a compiere la rivoluzione che rese popolare il tè in Giappone, ovvero introdusse la tecnica cinese della produzione del matcha. Ai tempi dello shogunato il tè divenne poi uno status symbol della classe dei samurai, presso la quale era in uso bere il matcha e il gyokuro. La tecnica di cottura a vapore invece nasce proprio nella regione di Uji, la quale provvedeva al fabbisogno della capitale, dello stesso imperatore e dello shogun.
Molti conoscono le famose scuole di chado, ovvero di cerimonia del tè matcha, ma non tutti conoscono quelle di senchado, qual’è la migliore a suo avviso?
A mio avviso la migliore è sicuramente la ogawaryu, anche se altrettanto buona è la higashi abe ryu.
Qual è il miglior periodo per iniziare la raccolta del tè nella sua provincia?
Il miglior periodo è fra il 3 e il 6 di maggio, durante il Golden Week, ovvero la settimana dove si celebrano la Festa della Costituzione, la Festa del Popolo, la Festa del Verde e la Festa dei Bambini. Non dovendo quindi lavorare, tutti in famiglia possono aiutare nella raccolta del tè. A Uji poi questo è il periodo del primissimo raccolto, quindi quello più pregiato.
Quali sono le varietà di matcha che si possono trovare in Giappone?
Partendo dalle varietà più pregiate, c’è il koicha, classico matcha da cerimonia che viene preparato con poca acqua e servito molto denso (in inglese chiamato thick matcha). A seguire c’è il matcha standard o usucha (in inglese thin matcha), ugualmente utilizzato nelle cerimonie. Il grado più basso è quello del matcha da cucina, anche se di questo esistono numerose varietà. Per esempio non è difficile trovare anche sencha matcha, ovvero matcha prodotti da foglie di sencha. In generale si può produrre il matcha da ogni tipo di tè giapponese, ma il risultato non sarà sempre soddisfacente. Per esempio le foglie di shincha (primo raccolto di sencha) sono ancora troppo giovani e si preferisce aspettare la stagione estiva per la produzione del matcha.
Cos’è l’umami e da cosa dipende?
L’umami è il cosiddetto quinto sapore. In giappone tutto può essere umami, se il sapore è “pieno”. Quando preparate una zuppa può accadere che, malgrado tutte le spezie e i prodotti, manchi ancora qualcosa, ma non sapete cosa. Manca “corpo”, ovvero quello che in Giappone chiamiamo uamami. L’umami nel tè si trova nelle radici e sale verso le foglie, soprattutto quando sono ombreggiate.
Qual è il miglior metodo per valutare un tè giapponese?
Il metodo più corretto è sicuramente toccando con le mani il tè. Importante nel tè è il peso, la quantità di povere e scarti. Facendo passare le foglie di tè fra le dita, la polvere, se presente, rimane sulle dita. Quanto al peso, più un tè è pesante, più la sua qualità sarà alta.
Sperando che l’articolo sia valso la lunga attesa e la lunga pausa estiva, vi invito a seguire nuovamente teadragonfly, le sue notizie e le sue recensioni. Al prossimo articolo e un buon fine settimana!