Dal Giappone, un incontro con il sig. Takada

Circa un mese fa, verso la fine di settembre, alla sala da tè Czajownia di Breslavia si è tenuto un incontro con il signor Takada di Uji, esperto di tè e produttore per la catena Dobrá čajovna di Praga.

Mr. Takada from UjiVorrei premettere fin da principio che i tè giapponesi sono quasi un’icona della sala da tè Czajownia, soprattutto in estate, quando il caldo afoso li rende forse il solo prodotto bevibile caldo. Il prezzo poi, sebbene alto per la Polonia, sembra essere decisamente onesto, considerando la qualità.

L’incontro è iniziato, come tradizione, con un lieve ritardo. Il sig. Takada ci ha accolto con sorpresa con un infuso di foglie di ciliegio, piuttosto che con un tè. Le foglie, ci ha spiegato, sono state raccolte da un amico di Uji, anch’esso coltivatore di tè per professione e coltivatore di ciliegi per passione. Il sig. Takada offre spesso questo infuso ad amici e clienti in visita per addolcire il palato e per preparare gli ospiti all’assaggio dei tè più pregiati.

Sakura tea leaves - teadragonfly

Foglie di ciliegio esauste

Le foglie di ciliegio essiccate sono alla vista estremamente grandi e ne bastano davvero poche per riempire il hohin (piccola teiera senza manico tipica della cultura giapponese). Il sapore è molto aromatico, speziato, piacevole e dolce; ricorda vagamente l’aroma delle ciliegie con una punta di pepe bianco con un ché di frizzante. Devo ammettere che, una volta provate, ho subito pensato di comprarne un poco su internet. Purtroppo l’impresa sembra essere piuttosto ardua, poiché in genere il sakura tea viene prodotto solo dai fiori del ciliegio giapponese e non dalle foglie.Durante la prima fase della lezione, il sig. Takada ci ha mostrato il metodo antico di produzione del tè, oggi caduto in disuso a favore dei più veloci processi industriali. Fra i metodi antichi e quelli moderni in realtà ben poco è cambiato. Il tè, come accade ancora oggi, veniva raccolto dalle mani di anziane tea picker da anni ormai esperte nell’arte della raccolta. Malgrado l’età avanzata, queste signore sono in grado di raccogliere fino a 5 chili di foglie al giorno, dove i più giovani arrivano a un massimo di 3 chili. Per rendere il tutto più comprensibile, basti pensare che 5 chili di foglie fresche corrispondono a circa un chilo di prodotto finito.

Purtroppo le teapicker esperte, vista l’età, stanno diventando ormai sempre più rare e i loro servizi diventano sempre più cari. Una teapicker esperta viene in genere pagata al termine di ogni giorno di lavoro e riceve un compenso tra 5000 e 8000 Yen, giustificando in parte l’elevato costo del tè giapponese. Oltre a ciò, raccontava il sig. Takada, è usanza mandare regali ai teapicker la notte di capodanno e qualche settimana prima del raccolto assicurarsene i servigi nella nuova stagione di raccolta.

Aracha - teadragonfly

A sinistra Aracha Kabusecha, mentre a destra Aracha Sencha


L’inizio della stagione di raccolta
varia molto a seconda della latitudine, ma in genere nella zona di Kagoshima ha inizio già a metà aprile, mentre a Shizuoka verso la fine di aprile e a Uji a metà maggio. Dopo la fase di raccolta delle foglie fresche, queste vengono cotte al vapore per una durata variabile da 30 a 90 secondi a seconda del centro di produzione. A Uji il tè viene cotto al vapore per 30 secondi, a Kagoshima 60 secondi, mentre a Shizuoka fino a 90 secondi. Segue poi una fase di asciugatura, rullatura e lieve tostatura. Quando il tè è ormai asciutto, rullato e tostato, prende il nome di aracha.

Japanese tea sifting - teadragonfly
L’aracha
non è altro che il cosiddetto tè dei coltivatori, ovvero un tè che contiene detriti e polvere, e quindi non è adatto alla vendita, ma può essere usato per fini domestici. L’aracha in una prima fase viene fatto passare attraverso un setaccio a maglia fine, così da eliminare la polvere di tè, spesso copiosa. Successivamente l’aracha viene fatto passare attraverso un setaccio a maglia larga per eliminare i rametti più lunghi. Quello che rimane da questi due primi processi non è tuttavia ancora il prodotto finito. Il tè a questo punto viene lanciato in aria con un largo contenitore a forma di guanto da baseball: in questo modo le foglie più leggere finiscono per separarsi e cadere fuori. Eliminati i rametti, la polvere e le foglie più leggere, non rimane che togliere dal tè i rametti più sottili e i gambi del tè. Quest’ultimo processo di pulitura veniva in passato eseguito a mano, o meglio con le bacchette.

Dopo tutte queste fasi di grading l’aracha è ora diventato shincha, sencha, kabusecha o gyokuro (a seconda del periodo e della tipologia di raccolta)!

Kuki picking with chopsticks - teadragonfly

Separazione dei kuki (gambi) dall’aracha

Avendo avuto l’occasione di assaggiare in prima persona l’aracha prima e dopo la tostatura, ho potuto finalmente fare un confronto fra prodotti semilavorati e prodotti finiti. Il sencha aracha, per esempio, prima della tostatura ricorda moltissimo il sapore di un kukicha molto verde(tè fatto con i gambi delle foglie), mentre dopo la tostatura assume il caratteristico aroma vegetale e fruttato. L’aracha sencha tostato tuttavia, a differenza del sencha, ha un sapore meno definito. Se consideriamo che una parte dei detriti del tè non ha sapore e occupa solo spazio nella teiera, d’altra parte la polvere infonde molto velocemente, rendendo il tè più forte e dal sapore meno delineato.

Discards of tea production - teadragonfly
Durante la produzione del tè, come abbiamo potuto assistere, prevede molti
scarti di produzione che vengono destinati a prodotti di tutt’altro tipo. Per esempio gli scarti del tè vengono molto utilizzati nell’industria cosmetica per creme e sali da bagno, proprio in virtù della natura acida della pianta che pare pulisca la pelle e la renda più lucida. In antichità invece era uso di usare il tè scartato per imbottire i cuscini!

Dopo aver assaggiato l’aracha verde e quello tostato, sono seguiti cupping più classici: yamacha, gyokuro, tamaryokucha. Quello che più mi ha sorpreso è stato il metodo di infusione. Lavorando in una sala da tè, data la grande varietà, si utilizzano in genere standard di infusione che però non rendono giustizia alle caratteristiche proprie di ciascun tè. Per esempio siamo stati abituati a infondere tutti i tè giapponesi con le seguenti proporzioni: 7-8 gr. in 200 ml a 70°C per 120 secondi. In realtà questo tipo di infusione è giusto per i soli sencha di qualità premium, mentre per un gyokuro potrebbe definirsi quasi uno spreco. Il sig. Takada offre in genere ai propri clienti il gyokuro con proporzioni di 10 gr. in 60 ml a 50°C per 120 secondi. Con questi parametri si ottiene un infuso concentrato, dolciastro e fortemente aromatico, senza note amare o astringenza; questo gyokuro non è bevuto, ma gustato in porzioni non superiori ai 20 ml, quasi un shot di tè!

Ad ogni passo del cupping ho scoperto quanto i tè giapponesi siano realmente diversi fra loro, grazie soprattutto a una più attenta infusione. Lo yamacha ricorda molto il sapore del pane, il tamaryokucha possiede invece una nota di tostato, mentre il gyokuro è cangiante, passa da un sapore fruttato e burroso della prima infusione a un sapore dolce e amarognolo tipico di certi matcha usucha dell’ultima (vedi usucha e koicha matcha).

Oltre al tè, tema portante dell’incontro, ci è stata offerta l’occasione di apprezzare anche altri tipi di prodotti, come i biscotti al matcha, un furikake (topping per riso) di tencha (ovvero le foglie di tè dalle quali ha origine il matcha, tè polverizzato) e anche una specie di ‘insalata’ di foglie di gyokuro esauste condite con salsa di soia. Per chi poi è stato fortunato, o meglio sfacciato, in serbo si è trovato anche una piccola manciata di riso tostato per genmaicha.

Al termine di questo lungo pomeriggio poi non sono certo mancate le domande, tutte molto interessanti, le quali sarebbe un peccato non riportare:

Quali sono le proporzioni di riso e tè nel genmaicha?
Dipende dal produttore, ma in generale circa 50-50.

Se il tè è arrivato in Giappone dalla Cina, perché i tè verdi giapponesi vengono non solo prodotti, ma anche serviti in tutt’altro modo?
La tradizione del tè in giappone è ormai più che millenaria. In principio il tè introdotto in Giappone dalla Cina era chiamato dancha, ovvero tè in forma di sfera (pressato). Il dancha tuttavia era un prodotto a cui aveva accesso solo l’alta nobiltà e il clero che lo preparava (forse anche produceva?). Fu il monaco Eisai nel XII secolo a compiere la rivoluzione che rese popolare il tè in Giappone, ovvero introdusse la tecnica cinese della produzione del matcha. Ai tempi dello shogunato il tè divenne poi uno status symbol della classe dei samurai, presso la quale era in uso bere il matcha e il gyokuro. La tecnica di cottura a vapore invece nasce proprio nella regione di Uji, la quale provvedeva al fabbisogno della capitale, dello stesso imperatore e dello shogun.

Molti conoscono le famose scuole di chado, ovvero di cerimonia del tè matcha, ma non tutti conoscono quelle di senchado, qual’è la migliore a suo avviso?
A mio avviso la migliore è sicuramente la ogawaryu, anche se altrettanto buona è la higashi abe ryu.

Qual è il miglior periodo per iniziare la raccolta del tè nella sua provincia?
Il miglior periodo è fra il 3 e il 6 di maggio, durante il Golden Week, ovvero la settimana dove si celebrano la Festa della Costituzione, la Festa del Popolo, la Festa del Verde e la Festa dei Bambini. Non dovendo quindi lavorare, tutti in famiglia possono aiutare nella raccolta del tè. A Uji poi questo è il periodo del primissimo raccolto, quindi quello più pregiato.

Quali sono le varietà di matcha che si possono trovare in Giappone?
Partendo dalle varietà più pregiate, c’è il koicha, classico matcha da cerimonia che viene preparato con poca acqua e servito molto denso (in inglese chiamato thick matcha). A seguire c’è il matcha standard o usucha (in inglese thin matcha), ugualmente utilizzato nelle cerimonie. Il grado più basso è quello del matcha da cucina, anche se di questo esistono numerose varietà. Per esempio non è difficile trovare anche sencha matcha, ovvero matcha prodotti da foglie di sencha. In generale si può produrre il matcha da ogni tipo di tè giapponese, ma il risultato non sarà sempre soddisfacente. Per esempio le foglie di shincha (primo raccolto di sencha) sono ancora troppo giovani e si preferisce aspettare la stagione estiva per la produzione del matcha.

Cos’è l’umami e da cosa dipende?
L’umami è il cosiddetto quinto sapore. In giappone tutto può essere umami, se il sapore è “pieno”. Quando preparate una zuppa può accadere che, malgrado tutte le spezie e i prodotti, manchi ancora qualcosa, ma non sapete cosa. Manca “corpo”, ovvero quello che in Giappone chiamiamo uamami. L’umami nel tè si trova nelle radici e sale verso le foglie, soprattutto quando sono ombreggiate.

Qual è il miglior metodo per valutare un tè giapponese?
Il metodo più corretto è sicuramente toccando con le mani il tè. Importante nel tè è il peso, la quantità di povere e scarti. Facendo passare le foglie di tè fra le dita, la polvere, se presente, rimane sulle dita. Quanto al peso, più un tè è pesante, più la sua qualità sarà alta.

Sperando che l’articolo sia valso la lunga attesa e la lunga pausa estiva, vi invito a seguire nuovamente teadragonfly, le sue notizie e le sue recensioni. Al prossimo articolo e un buon fine settimana!

Tea time, Lion Cake e ceramiche per tè

Bentornati su Teadragonfly. La recensione di questa settimana si è fatta a lungo attendere, sia per via degli esami che delle numerose iniziative alle quali ho preso parte ultimamente. Breslavia, ormai da un paio dbig_plakat_small_SW10Ai settimane, ha iniziato a popolarsi di turisti e, forse proprio per questo, hanno luogo numerosi festival e iniziative fra cui l’ormai celebre ‘Festival delle alte temperature’. Durante questa festa la nostra sala da tè ha avuto un bel da fare! Non solo abbiamo ospitato un meravigliosa mostra mercato di ceramiche per il tè, ma abbiamo anche organizzato un tea party di beneficenza per aiutare i produttori di tè nepalesi che hanno subito i danni maggiori durante il terremoto di aprile.

Avendo partecipato al tea time come tea brewer, ho deciso di scegliere il tema dell’articolo fra i tè che ho avuto modo di preparare, ovvero il 2006 Lion Cake. 


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La zona di produzione del Lion Cake (non troppo precisa).


Nome: 2006 Lion Cake
Origine: Xīshuāngbǎnnà (西双版纳)
Venditore: fengyuan-teashop
Prezzo senza spedizione: 18 € per 360 g.
Ossidazione: Sheng 5-10 anni
Raccolto: primavera
Fissaggio: panning
Colore foglia: marrone talpa / verde alga scuro
Aspetto della foglia: foglie intere, medio piccole
Aroma prodotto secco: terroso, microbiotico
Aroma del liquore: astringente, acidulo
Note percepite: legni pregiati, prugna, microbiotico

Quando ho ricevuto qualche mese fa il Lion Cake, la prima impressione che ho avuto è stata quasi shockata. All’apertura dell’involucro di carta, un fortissimo e pungente odore di terra e muffa mi ha in un attimo sopraffatto e lasciato letteralmente a bocca aperta. Malgrado non ci fossero muffe o macchie sospette, l’aroma ne suggeriva quasi la presenza. La stessa impressione mi è rimasta anche durante la prima infusione, che – ammetto – era decisamente poco appetibile. Malgrado un piacevole e lieve retrogusto di canfora, talvolta apprezzato dagli amanti dei puerh sheng (puerh invecchiati secondo il metodo tradizionale), non c’era poi molto di buono in quelle foglie.

Lion cake 2006 teadragonflyDopo un paio di mesi di riposo, avvicinandosi la data del tea time e non avendo veramente molto da offrire ai miei ospiti (quantomeno non nelle quantità giuste), ho deciso nuovamente di riaprire il Lion Cake, sperando in un miracolo. Con sorpresa ho scoperto che il forte odore di terra era ormai scomparso e anche il sapore dell’infuso era tornato a essere più equilibrato (forse proprio per via del clima secco della mia casa), mentre la nota di canfora era quasi del tutto scomparsa.

I puerh sono indubbiamente fra le tipologie di tè più difficili da conservare. Tendono infatti ad assorbire gli odori degli ambienti in cui sono conservati e soprattutto cambiano aroma a seconda del grado di umidità a cui sono sottoposti. Se curati in ambienti troppo umidi, sviluppano muffe indesiderate, mentre, se vengono curati in ambienti troppo secchi, perdono la maggior parte degli aromi e diventano amari. Proprio per questi motivi, sulla corretta conservazione del tè post-fermentato (pu’erh) esistono centinaia di teorie, migliaia di tecniche e milioni di pessime realizzazioni.

Lion cake leaves 2006 teadragonfly


Io stesso ammetto di essere un audace sperimentatore in questo campo, e forse neanche non uno dei migliori. Mi sono però convinto presto che il miglior modo per godersi un buon tè invecchiato è quello di consumarlo semplicemente appena possibile, senza sperimentare alla cieca e senza tentare esperimenti rivoluzionari. Non basta mettere le forme di tè in un armadio o una cantina ben umida e aspettare per 30 anni per avere un pezzo dal valore di migliaia di dollari.


 Metodo di infusione:
Capacità: 190 ml
Quantità: 19 gr.
Proporzioni scelte: 1 gr. per 10 ml
Temperatura acqua: 95°C
Infusione: 15, 15, 10, 10, 5, 5, 5, 5, 5, 10, 15, 20, 

Gong fu tea set Patryk Idzie Na Luwaka

Foto di Patryk Szmelter

Per la preparazione del Lion Cake ho deciso di usare finalmente, non senza qualche remora, la seconda delle teiere yixing che comprai l’anno scorso. A lungo non sono riuscito a decidermi se usarla solo per i puerh, gli oolong scuri oppure i rossi cinesi. Essendo infatti le teiere di yixing prive di smalto, assorbono facilmente gli aromi del tè per poi rilasciarli nelle successive infusioni: ciò da un lato accentua col tempo la ricchezza delle note aromatiche delle nuove infusioni, ma dall’altro tende a contaminare e rovinare il sapore genuino dei tè più delicati.

Sulla teiera, oltre a quanto scritto sopra, non c’è molto da dire. Non è stata creata secondo un modello tradizionale, ma è un pezzo dalle fattezze fantasiose che ricordano la morbidezza di una nuvola. La spessa filigrana della ceramica, di un color oro acceso e dalle numerose macchioline di ferro ossidato: porta alla mente l’immagine di sabbie vulcaniche di un’isola del pacifico.

Durante il Teatime ho notato con sorpresa di essere stato l’unico, o quasi, a essersi assunto il rischio di offrire puerh. Bisogna ammettere che non si tratta di una categoria semplice da amare per chi del tè non se ne intende, ma per fortuna i miei ospiti sembra abbiano apprezzato l’originalità di questi prodotti. In particolare il Lion Cake ha destato il maggior numero di sorprese. Alcuni hanno ricollegato l’aroma microbiotico a quello delle vecchie cantine umide, mentre altri, che già conoscevano i puerh shou (invecchiati artificialmente) hanno subito trovato un secondo termine di confronto, lodando il Lion Cake.

Dian lu  Yixing teapot teadragonfly Patryk Idzie Na Luwaka

Foto di Patryk Szmelter

Quanto alla mia opinione, mi pento di aver così in fretta abbandonato questo tè per il suo sapore rustico e spigoloso. A posteriori mi sono reso conto che la forma di tè non era assolutamente contaminata, ma solo in bilico fra una buona resa e una pessima conservazione. L’aroma vago di legni pregiati, unito alla punta di canfora e prugna oggi sono finalmente ben equilibrati, ma la forma ormai asciutta trarrebbe sicuramente ancora molto vantaggio dalla conservazione in ambienti più umidi. Ovviamente il Lion Cake non è assolutamente un tè eccezionale o dalle caratteristiche organolettiche sorprendenti, ma ha indubbiamente un potenziale nascosto.

Riepilogando:
Qualità della foglia: 5 /5 (ottima)
Stile dell’aroma: 3,5 /5 (particolare)
Difficoltà di infusione: media
Prezzo: 4 / 5 (onesto)

Arrivando finalmente a parlare più da vicino del Teatime, devo ammettere che è stata una bella iniziativa. Sono stati preparati numerosi tè dalla Cina, dall’India, dal Giappone e dalla Korea e molti secondo i canoni cerimoniali dei singoli paesi. Oltre a noti tea master cechi e polacchi, hanno partecipato all’infusione anche il ceramista Petr Novak e alcuni tea blogger più o meno famosi nel giro degli esperti e appassionati.

Andrzej Bero - foto Patryk Idzie Na Luwaka

Il ceramista Andrzej Bero attende il tè infuso dal ceramista ceco Petr Novak. Foto di Patryk Szmelter.

Nel fine settimana, oltre al Teatime, la nostra sala da tè ha avuto anche l’onore di ospitare una mostra di ceramiche artistiche polacche e ceche. Trovandomi immerso fra teiere, kyusu, tazze, shiboridashi, chapan e altro ancora, non ho potuto trattenermi dal comprare un intero set per la cerimonia del tè cinese e uno per quella giapponese! 

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Augurandovi quindi un buon fine settimana, vi lascio con una poesia nepalese di Iswar Ballav trovata sul web. A presto!


In cammino

Guarda verso il cielo, ma non sempre:
guarda spesso anche verso terra.

La terra ama l’uomo, fin nelle radici:
aggiungi le infinite stelle –
le molte gocce che scendono
qui; i molti germogli che qui
fioriscono. Fa risuonare il sordo orizzonte –
lontano, tanto lontano verso gli uomini in cammino.
Da qualche parte fasci di luce accendono luci;
da qualche parte fasci di luce si impennano:
uomini e uomini in cammino.

Iswar Ballav

Una cerimonia fra le dune, la cerimonia del tè maghrebino

Bentornati di nuovo su Teadragonfly.

Dopo una breve pausa di un paio di settimane spese sui libri in preparazione degli esami, torno finalmente a scrivere del tè. Al posto della recensione di routine, ho deciso di inaugurare oggi una nuova rubrica che approfondirà il ricchissimo mondo delle cerimonie del tè.

Maghreb tea 4 small

Volendo iniziare con qualcosa di relativamente semplice ma anche inusuale e accattivante, ho deciso di proporvi come primo tassello di questo ampio mosaico la cerimonia del tè maghrebino. Sebbene non si possa definire una cerimonia nel senso più ortodosso del termine, il ruolo che riveste questo tè nella cultura del nord africa e la sua secolare tradizione non possono che farle guadagnare di fatto questa importante investitura.

Maghreb mapCome riportato da diverse fonti, il tè maghrebino nasce verso la metà del XIX secolo, ai tempi della guerra di Crimea. Gli inglesi all’epoca si trovavano in aperte ostilità con l’impero russo questo li portò a perdere improvvisamente un grande numero di mercati strategici situati nell’area del Mar Baltico. Per ovviare al problema della diminuzione della domanda del tè, la sola soluzione fu quella di trovare nuovi mercati dove vendere la preziosa bevanda cinese comprata a caro prezzo. Uno di questi fu proprio quello nord africano.

Se da un lato le popolazioni locali avevano fin da subito riconosciuto il grande potenziale del tè, dall’altro non si può certo dire che godessero dello stesso background culturale delle popolazioni asiatiche. Per questo, privi del le nozioni fondamentali per la giusta preparazione di una buona tazza di tè verde, decisero di aggiustare il sapore decisamente poco gradevole dell’infuso con zucchero di canna e foglie di menta.

Superato quindi il problema del sapore amaro, un altro elemento che non piaceva alle popolazioni locali era la fitta polvere di tè intrappolata nelle foglie del zhu cha (gunpowder). Forse proprio questo è uno degli elementi chiave della cerimonia maghrebina: la pulizia delle foglie attraverso due infusioni interrotte da un risciacquo.

A questo proposito sento di dover fare una piccola digressione: capita spesso di sentire o leggere che il gunpowder industriale, poiché lavorato con macchinari e presse idrauliche, racchiude molte più impurità e polveri della versione handmade. Tuttavia la cerimonia del tè marocchino sembrerebbe non confermare questa leggenda, considerando che nel XIX secolo l’industria del tè era decisamente ancora molto lontana dal processo di industrializzazione a cui assistiamo oggi.

I prodotti

Maghreb tea 1 smallPer questa prima cerimonia ho scelto di servirmi del tè più fedele a quello usato storicamente, ovvero un Pingshui Zhu Cha (lett. “Tè in perle”), ovvero un gunpowder prodotto a mano nella prefettura di Shaoxing, dove questo tè è nato in epoca Tang (618-907). Il processo di produzione è decisamente interessante, in quanto, a differenza di molti tè cinesi, non è fissato col panning (tostatura in grandi wok), ma è processato al vapore (steamed).

La menta fresca che ho scelto purtroppo non è quella originale maghrebina (mentha spicata “Nana”), ma una comune mentha spicata. La differenza fra le due è perlopiù nella grandezza delle foglie e nel sapore leggermente più delicato della cultivar “Nana”.

Maghreb tea 3 small
Il terzo e ultimo ingrediente fondamentale della cerimonia purtroppo è quello che più si allontana dalla tradizione antica: lo zucchero. Lo zucchero che ho usato non è di canna, come vuole la tradizione: ho usato delle comuni zollette di zucchero di barbabietola bianca. Lo zucchero di barbabietola in realtà al tempo già esisteva, poiché venne prodotto per la prima volta a Konary (Slesia) nel 1802, ma divenne in Europa solo attorno al 1850 un pericoloso concorrente dello zucchero di canna..


La preparazione

Il processo di preparazione di questo tè è decisamente semplice:

1. Poiché uno dei segreti del tè maghrebino è utilizzare acqua bollente, la prima fase è far raggiungere all’acqua i 100 gradi e di preriscaldare successivamente le tradizionali teiere metalliche per evitare di abbattere accidentalmente la temperatura durante la preparazione. La teiera può essere riscaldata sul fuoco oppure con acqua che verrà successivamente scartata.

2. Il padrone di casa, formando una conca col palmo della mano, prende una manciata di tè e la pone delicatamente nella teiera. Procede quindi a versare una quantità di acqua bollente che sia pari alla capienza di una o due tazze.

3. Dopo aver atteso un minuto, l’essenza estratta viene versata in uno o due bicchieri (questa essenza deve essere conservata). È molto importante durante questo passaggio e il precedente non scuotere accidentalmente la teiera.

4. Le foglie nella teiera, ormai aperte, vengono risciacquate sempre all’interno della stessa da due fino a cinque volte (a seconda della necessità) per eliminare la polvere di tè. In questa fase viene versata acqua fredda nella teiera che poi sarà scartata in un bicchiere vuoto. L’acqua di questo bicchiere sarà ovviamente torbida e piena di impurità e perciò non è destinata alla cerimonia.

Maghreb tea 5 small5. L’essenza è nuovamente versata nella teiera. Viene aggiunta una manciata di foglie di menta e 10 zollette circa di zucchero. Il tè marocchino si serve generalmente alla fine dei pasti e perciò deve essere molto dolce, quasi fosse una specie di dessert.

6. La teiera, che adesso conterrà l’essenza di tè, le foglie dischiuse e lavate, la menta e lo zucchero, viene riempita interamente di acqua bollente e in seguito messa sul fuoco per qualche minuto, giusto il tempo di permettere al tè di esprimere al meglio il proprio aroma e alla menta di infondere. Appena il tutto inizia a bollire bisogna rimuoverlo dal fuoco.

Maghreb tea 2 small7. “Se non ha il turbante, non è atāy (tè maghrebino)”. Quando l’infuso è pronto, si procede a mescolare i sapori e a creare il famoso strato di schiuma bianca chiamato “turbante”. Per ottenere questo effetto si versa da una grande altezza il tè in una tazza e dalla tazza nuovamente nella teiera (procedimento da ripetersi da tre a cinque volte). Dopodiché il tè viene versato nuovamente nella tazza da un’altezza sufficientemente alta da creare una schiuma densa e stabile, ma non troppo rischiando così di raffreddare troppo il tè.

Il tè maghrebino è ora pronto per essere servito!

Le considerazioni

Il sapore molto dolce di questo infuso sembra essere pensato proprio per le stagioni afose africane nelle quali, al posto del classico tè, si è più inclini a bere bevande fredde. Il gunpowder ci scuote e risveglia, mentre lo zucchero trasforma l’infuso in un dessert che dona energie immediate e la menta lascia una piacevolissima sensazione di freschezza sul palato.

In genere in inverno, quando la menta non è di stagione, nel Maghreb si usa aggiungere a quella secca alcune foglie di assenzio (artemisia absinthium) per donare all’infuso un piacevole sapore amarognolo. In alcune regioni invece si usa aggiungere al tè alcuni pinoli tostati, dissonanti nel sapore, ma che ben si abbinano ai sapori molto dolci, creando inoltre una sorta di stacco nell’aroma.Maghreb tea 6 small


Sperando che questa piccola scheda introduttiva sulla cerimonia del tè maghrebino vi sia piaciuta, non posso che invitarvi a provare in prima persona questa ricetta. Ne vale veramente la pena! In attesa del prossimo articolo di Teadragonfly, vi lascio secondo tradizione con qualche verso celebre. Restando in tema, vi propongo due poesie del poeta marocchino Mohammed Bennis.

La gioia del danzatore
A Mahdi Qotbi (*)

C’è un inno che si allarga sulla tela
La mano tocca la sua memoria
da vicino da lontano
conduce la calligrafia
verso dove le lettere non si riconoscono più

Giubilo di una mano
che traccia lettere arabe
in forma
di linee erranti
Il desiderio è il loro cammino

Si posa lo sguardo
sulla distesa che esiste
solo nella gioia del danzatore

Una linea dopo l’altra si illumina
il vuoto
da un movimento inaugurale
dove assenza è il centro

L’aria del respiro
Oscillazione invisibile

L’occhio ascolta diluirsi il canto
A poco a poco le forme mutano lo sguardo

Niente sottomissione

Fes

Fes, vibrante collina,
che abbassa all’orizzonte
per la festa un calore bianco
non ricorda chi muore
ne chi morirà.

Fes, colonne dello spirito
pagano,
alberi di melograno
alberi di uva
alberi di arance
fiori di gunbaz
Fes, folle, cerca la sua folle
esitando sul finire della melodia
di un rebab andaluso.
Feste senza sogni
sul nascere di una notte agitata
danza esiliata
ignota, dell’acqua.
Fes, sassi lisci si sostengono
levigati dalla polvere dei venti
con il sangue
evapora nei momenti

Mohammed Bennis